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AREA ESPOSITIVAIL CARISMA DI SAN GIUSEPPE MARELLO: UN PERCORSO PER IMMAGINI
Matide Picollo L’area espositiva dedicata a San Giuseppe Marello, recentemente inaugurata nella casa madre di Asti, non è un museo nel senso tradizionale ed un po’ restrittivo del termine, ma uno spazio vivo, carico di valenze storiche e spirituali. Scritti autografi, notizie biografiche, fotografie e riferimenti ad eventi contemporanei si intrecciano con gli oggetti appartenuti al Santo, in un percorso ricco di suggestioni emotive. L’allestimento moderno, curato nei materiali e calibrato nelle luci, contribuisce a far conoscere in modo efficace il Santo astigiano e a fissarne il ricordo in modo indelebile nella memoria del visitatore. A conclusione del percorso, una serie di grandi pannelli rettangolari illustra il carisma del Marello e l’opera degli Oblati nel mondo. Il percorso visivo, suddiviso in sette pannelli di grandi dimensioni, si snoda alla luce delle frasi tratte dagli scritti del Marello, per concretizzarsi in una serie di scene che, una dopo l’altra, narrano le realtà degli Oblati nel mondo ed il senso della loro missione. Le immagini bibliche, realizzate quasi in monocromo e poste per lo più alla sinistra dei dipinti, costituiscono il motivo ispiratore dell’azione del Santo e dei suoi figli. In ogni pannello si riconoscono elementi di carattere simbolico come il cerchio concentrico, multicolore, simboleggiante lo Spirito Santo che ispira e conduce l’opera di San Giuseppe Marello e dei suoi successori, il vento dello Spirito, raffigurato con fasce di color verde-azzurro, la strada variopinta, che il Santo stesso indica e percorre per primo e sulla quale tutti siamo chiamati ad avviarci. Nel primo dipinto, il tema è la chiamata personale, la disponibilità a seguire il disegno divino, qui simboleggiato dalla mano di Dio, secondo un modello presente nell’arte cristiana delle origini. La risposta del Marello si conforma all’esperienza di Maria e Giuseppe, chiamati dall’angelo, per divenire strumento nelle mani di Dio e andare “là dove la divina provvidenza vuole che arriviamo”. Il secondo dipinto trae spunto dall’immagine in cui Gesù manda i suoi discepoli nel mondo: anche il Santo, a braccia aperte, con atteggiamento paterno, spinge i suoi figli a percorrere le vie dei paesi più lontani per portare il messaggio di Cristo, “per dedicarci agli interessi di Gesù”. Nei vari cerchi sono rappresentati i principali luoghi dove gli Oblati prestano oggi la loro opera. I figli del Marello sono raffigurati su una piccola barca alla destra del quadro: è questo un elemento poco appariscente, ma fondamentale, in quanto rivela la necessità di mettersi in viaggio e affrontare rischi e difficoltà, anteponendo agli interessi personali la sequela di Cristo. Nel terzo dipinto è rappresentata la nascita della Chiesa: come Gesù, all’inizio della sua missione, chiamò i discepoli per farne pescatori di uomini, così un Oblato è in procinto di radunare un gruppo di persone e dare inizio alla sua opera di apostolato. La piccola Chiesa così formata cresce nell’ascolto della Parola e nell’incontro con Cristo attraverso l’Eucaristia, mentre gli edifici religiosi raffigurati sullo sfondo vogliono rappresentare concretamente le diverse comunità locali. L’opera marelliana che pone al centro di tutto l’esperienza eucaristica si pone dunque “nel cuore della Chiesa”. Il quarto dipinto è dedicato alla missione fondamentale degli Oblati: la formazione dei giovani. Da Gesù che accoglie i bambini viene l’indicazione a dedicarsi all’istruzione dei ragazzi, privilegiando l’educazione globale della persona. A questo obiettivo tendono la musica, lo studio scientifico e le altre attività qui rappresentate: al centro della scena un educatore pone la mano sulla testa del bambino, in segno di comprensione e di aiuto. Frutto di questo modello didattico sono le forti personalità, in grado di incidere concretamente nella realtà in cui vivono: con le parole del Marello “i grandi caratteri scuotono il mondo”. Il messaggio legato all’attività educativa degli Oblati si completa nel quinto dipinto, dove è privilegiata la formazione umana: “illuminare l’anima, educare il cuore”. Si propone una scena di adorazione eucaristica come modello di esperienza di fede, per sottolineare come nella formazione religiosa il giovane possa trovare un sostegno per la propria crescita interiore. Sulla strada variopinta sono rappresentate le diverse attività oratoriali, per indicare come l’azione educativa raggiunga ogni ragazzo là dove egli vive. La grande mano sul cuore del bambino vuole sottolineare un atteggiamento di attenzione personale e di affetto da parte dell’educatore. Il sesto dipinto presenta la “Fuga in Egitto” come scena biblica ispiratrice, a dimostrare che Cristo è venuto per condividere in tutto la nostra condizione umana. Sono raffigurate scene di povertà attuale: “seringueiros” e “favelas” in Brasile, “campesinos” in Perù; gli Oblati sono presenti nei paesi più poveri e provvedono ai bisogni elementari, così come Gesù moltiplicò i pani per sfamare la folla. La tavola imbandita al centro della scena acquista un valore simbolico alla luce delle parole del Marello: “il Vangelo conduce alla libertà e alla prosperità dei popoli”. Dunque l’annuncio della Parola è il vero “nutrimento” , che sospinge i popoli sulla via del progresso civile e spirituale. L’ultimo dipinto sintetizza tutto il percorso: la scena della guarigione della suocera di Pietro sottolinea l’importanza del donarsi agli altri. La donna, appena risanata, si mise a servire i presenti e nel servizio, generoso e disinteressato, San Giuseppe Marello fondò la Compagnia degli Oblati. Essi assistono giovani e anziani, poveri ed ammalati, mettendo in pratica “l’amore verso tutti”. Sullo sfondo si riconoscono il campanile del santuario di San Giuseppe di Asti e l’antico edificio di Santa Chiara, demolito per costruire l’attuale Casa Madre. Viene evidenziato il legame continuativo con la città, da cui ancora oggi partono gli Oblati per portare la loro opera nel mondo. Al termine del percorso, emergono i tratti di una santità “vicina”, fatta di gesti, di situazioni, di vita emotiva, in cui le parole stesse del Santo divengono completamento delle immagini, come in un grandioso, moderno, fumetto. I dipinti sono stati eseguiti da un giovane artista italo-brasiliano, Sergio Ceron, specializzato in arte sacra e autore di numerosi lavori in chiese ed istituzioni religiose italiane, europee e sudamericane. Nel ciclo pittorico astigiano, Ceron fa uso di uno stile personale, in cui riesce a trovare un punto d’incontro tra alcuni aspetti della tradizione artistica medioevale e i moderni linguaggi, tendenti alla stilizzazione e al gusto decorativo del colore. Le forme sono volutamente essenziali, schematiche; dal punto di vista cromatico prevale il rosso mattone del fondo, che richiama il colore della terra o dell’argilla cotta. I toni sovrapposti, piuttosto soffusi, restituiscono alle immagini un che di antico: vienda pensare a frammenti di affreschi, sbiaditi dal tempo, mentre le spesse linee di contorno ricordano i disegni preparatori o sinopie. Il sovrapporsi delle scene, il variare delle scale proporzionali, l’alternarsi dei colori, generano un senso di vivacità e di movimento, aspetti che consegnano il ciclo di dipinti ad un tipo di arte autenticamente “popolare” e perciò in grado di parlare a tutti, grandi e piccoli, di qualunque nazionalità. Con questa sua opera Ceron ha accolto in pieno la sfida contemporanea, per cui“l’artista è il canale, l’interprete, il ponte tra il nostro mondo religioso e spirituale e la società” (Giovanni Paolo II, Lettera agli Artisti, 1999). |