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AREA ESPOSITIVAMARELLO NEL SUO TEMPO
Mauro Forno La vita di Giuseppe Marello attraversa un cinquantennio di eccezionali mutamenti per la storia del paese (la stagione rivoluzionaria quarantottesca, il risorgimento nazionale, due trasferimenti di capitale) e anche per l’universo cattolico (i provvedimenti anticlericali del 1850, del 1855 e del biennio 1866-67; la convocazione del Concilio Vaticano I; la proclamazione del non expedit; la promulgazione dell’enciclica Rerum Novarum). Proprio per questo, l’Area Espositiva dedicata a Marello intende essere non solo una esposizione di oggetti o documenti legati alla vita del beato, ma un percorso attraverso cui immergersi e tentare di ricostruire il clima di un’epoca. Al momento dell’ingresso in seminario del giovane Marello, ad Asti si respirava un clima di incertezza, determinato dalla parentesi napoleonica e dalle lacerazioni seguite all’esilio del vescovo Filippo Artico, sfociato nella rinuncia ufficiale alla diocesi. Dopo una lunga vacanza, nel giugno 1867 essa era stata affidata a Carlo Savio: circostanza gravida di conseguenze per il cammino spirituale del Marello. Nel settembre 1868, alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, egli fu infatti nominato da Savio suo segretario personale. L’azione del nuovo vescovo fu molto attenta alla formazione e alla rigenerazione spirituale del clero. Alla vigilia del Concilio Vaticano I, Savio diede chiara prova di volere accogliere il principio della pastorale come azione programmata, affermando l’esigenza di un’adeguata preparazione dei chierici e di una formazione permanente del clero. Proprio le iniziative del vescovo e del suo giovane segretario, che nel 1880 era stato nominato direttore del Seminario e confessore dei chierici, avrebbero favorito la diffusione, nel clero astigiano, di una maggiore coscienza delle evoluzioni in atto in ambito sociale e culturale. Mentre il mondo contadino diventava il maggior bacino per le nuove leve ecclesiastiche e il parroco - anche per via dell’assunzione dell’anagrafe da parte dello stato - perdeva la sua funzione burocratico-civile, si ponevano in questo modo le basi per una rinnovata «chiesa di popolo». L’azione di Giuseppe Marello fu condizionata anche dall’esigua forza del locale laicato cattolico. L'Opera dei congressi non aveva infatti ancora conosciuto, ad Asti, un soddisfacente sviluppo e l’intero mondo cattolico piemontese, anche se sotto certi aspetti aveva precorso i tempi della mobilitazione, non si era poi distinto per un particolare dinamismo. A consolidarsi erano state soprattutto le opere caritative e diassistenza dei sacerdoti oggi ricordati come «santi sociali»: il Cottolengo, il Cafasso, il Murialdo, don Bosco. L’iniziativa che connota tutta la missione di Giuseppe Marello fu la creazione, nel marzo 1878, della Congregazione degli Oblati. Un’impresa che, oltre a esprimere un’apertura al rinnovamento degli strumenti di formazione e assistenza, sembrava derivare dall’esigenza di porre rimedio a una situazione di indigenza e di diffuso degrado presente nel capoluogo astigiano. A questo si aggiungeva il desiderio di contrastare il fiorire dei circoli e delle associazioni cittadine laiche, liberali, massoniche (sostenute da una ricca e pungente pubblicistica anticlericale) e di affiancare le prime organizzazioni operaie di impronta socialista. Quello della fioritura di nuove congregazioni, dopo le soppressioni decretate dalla legge Rattazzi del 1855, fu un fenomeno che assunse dimensioni rilevanti in Piemonte e che si espresse con una particolare attenzione per gli aspetti legati all’istruzione professionale dei giovani. Anche il legame tra Asti e l’opera di Marello divenne col trascorrere degli anni particolarmente stretto. Tutta la sua azione si espresse infatti all’interno di un concentrico – che oggi identifica i «luoghi marelliani» - delimitato dall’Opera PiaMichelerio, prima sede della sua Congregazione, dall’Istituto Milliavacca, di cui fu direttore spirituale dal 1880 al 1889, dall’Ospizio Cerrato, da lui rilevato nel 1882, dal complesso dell’ex monastero di Santa Chiara (del quale ottenne, nel 1884, l’ufficiatura e in cui vennero trasferiti i malati dell’Ospizio Cerrato e, successivamente, i suoi stessi Oblati), dal Seminario e dalla Cattedrale, di cui fu canonico e confessore. Dal modello pastorale marelliano emerge bene il tentativo di risposta del clero locale al modesto dinamismo del movimento cattolico piemontese; una circostanza forse ascrivibile ai toni meno drammatici con cui la chiesa e i cattolici subalpini avevano vissuto l’unificazione e anche ai particolari caratteri assunti dall’opposizione clericale, che non aveva mai assunto toni di rottura. Il 23 novembre 1888 a Marello giunse la notizia della nomina a vescovo di Acqui. Nella sua breve ma intensa permanenza in diocesi, egli avrebbe riproposto per intero il suo modello pastorale, con un senso del religioso non limitato alla sfera della morale individuale ma esteso al campo sociale e del lavoro e con un’attenzione particolare per l’educazione e la formazione dei giovani. L’enciclica papale Rerum Novarum, pubblicata da Leone XIII il 15 maggio 1891, giunse quasi a suggello della missione che Marello andava svolgendo da oltre un decennio, con un costante tentativo di mediazione tra le esigenze di emancipazione delle classi operaia e contadina e la forza liberatrice del messaggio cristiano; ma anche tra i limiti - che non mancava di sottolineare - delle concezioni marxiste e le storture di uno sfrenato capitalismo. La rilevanza sociale e culturale di tutta l’opera marelliana appare oggi evidente, affondando le sue radici nel suo tentativo di integrarsi e di interagire con le trasformazioni che contraddistinsero la vita della nazione. Anche e soprattutto a questo il Museo marelliano intende guardare. |